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Michelangelo, l'urgenza del creare

in onda domenica 20 maggio 2012 alle 13.20

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    Prosegue il mini-ciclo in tre puntate dedicato a Michelangelo di “Il capitale di Philippe Daverio”.

    Si riparte dal 1505, quando Michelangelo ha trent’anni e viene chiamato a Roma da Papa Giulio II. A Roma approda con la fama dello scultore massimo della sua generazione, per preparare il monumento alla gloria perenne del Papa, la sua tomba. Il Papa però gli commissiona anche gli affreschi della Cappella Sistina. E lui che fa? Riporta i prototipi che aveva preparato per le sculture della tomba di Giulio II, trasferendoli in  pittura. Michelangelo crea così un linguaggio pittorico nuovo, che corrisponde a una invenzione straordinaria: non volendo lui fare solo il pittore, inserisce i suoi affreschi non più in pareti delimitate divise in pannelli, come s’era sempre fatto da Giotto in poi, ma li piazza in una architettura dipinta, creando una vera e propria architettura del cielo. Non potendo rinunciare alla plasticità, si fa lui stesso architetto, costruendo, non a caso, un ambiente platonico, in quanto il mondo delle idee è metaforicamente sempre in alto.

    Il successore di Giulio II, Papa Leone X incarica Michelangelo, nel 1519, di iniziare a concepire le Tombe Medicee, la Sacrestia Nuova. Il rapporto tra Michelangelo e Leone X è un rapporto assolutamente intimo e consolidato perché i due sono cresciuti assieme nelle scuole dei giardini Medicei a Firenze. La tomba di Lorenzo, duca d’Urbino che muore proprio in quel 1519, è una delle sculture più note della storia dell’umanità. Altrettanto significativa è la tomba di Giuliano, duca di Nemours, fratello di Leone X, morto tre anni prima all’età di 38 anni, quindi uno di quei giovanotti con i quali probabilmente lui, Michelangelo, era stato a scuola. Due ritratti ideali, neoplatonici nella loro esecuzione perfetta, così come sono neoplatoniche, in un altro senso, le coppie di statue sottostanti, volutamente non finite.

    Sotto Leone X, Michelangelo vive pure la profonda crisi di quegli anni, quando Lutero si stacca dalla Chiesa di Roma e, dopo un breve quanto inutile tentativo di riconciliazione durante il brevissimo papato del filoimperiale Adriano VI, giunge al soglio pontificio nel ‘23 l’altro  Medici, Clemente VII, che avrà la sfortuna d’assistere allo sfascio del sacco di Roma nel ‘27. All’ansia della creatività s’aggiunge così l’ansia della politica: Michelangelo, ormai pittore, scultore e architetto, attuando un percorso di  mutazione non dissimile da quello di Giotto, entra in una nuova fase di sensibilità, esemplificata da un disegno, così importante per lui da firmarlo come opera compiuta, che ricorda il Compianto di Niccolò dell’Arca studiato a Bologna, con gli stessi svolazzi attorno al grido. Una anticipazione di una coscienza profondamente moderna.

    E così, dopo aver accompagnato in questa puntata Michelangelo praticamente fino ai suoi sessant’anni, restano da raccontare gli ultimi trenta della sua lunga esistenza creativa.

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