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Il Mito di Garibaldi

in onda domenica 17 giugno 2012 alle 13.20

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    Penultimo appuntamento con la prima edizione di “Il capitale di Philippe Daverio”, la trasmissione d’arte e cultura della domenica di Rai3.

    La puntata di questa settimana continua il racconto, cominciato la scorsa volta, lungo la linea della memoria unitaria italiana, rievocando la storia di alcuni eroi delle spedizioni garibaldine. Se fosse stato solo per gli accordi di Plombières del 1858 e per le battaglie di Solferino e San Martino del 1859, l’Italia sarebbe nata probabilmente come una federazione di stati presieduti dal Papa. Ai Savoia forse sarebbe bastata l’annessione della Lombardia se non fosse entrata in gioco l’avventura temeraria di Garibaldi con la conquista del Regno delle due Sicilie, sulla quale vigeva una promessa di aiuto piemontese solo in caso di buon fine.

    Garibaldi è innegabilmente il mito sul quale si fonda una prima ipotesi unitaria italiana. Un mito che ha origini molto lontane, ma che trova il suo fulcro quando parte la famosa spedizione dei Mille che da Quarto approda in Sicilia.  Chi erano i folli che lo seguirono e lo fiancheggiarono? Fra i mille c’erano poveri e ricchi, tutti motivati dal sentimento patrio, in molti casi poi divenuti borghesi fondativi dell’Italia successiva. Anche se sembrano scomparsi dalla bibliografia garibaldina odierna, i fratelli Orlando giocarono un ruolo fondamentale per l’avventura intera: si tratta di tre fratelli nati a Palermo all’inizio dell’Ottocento, che decisero d’aprire un fabbrichetta di molle. Ma al Regno di Napoli gli imprenditori non piacevano molto. Così si trasferirono a Genova, entrando nei circoli mazziniani e diventando anche amici di Cavour. Fecero fortuna costruendo navi e furono tra i finanziatori della spedizione dei Mille, partecipandovi anche direttamente. Gli Orlando diventarono dopo l’Unità la prima grande famiglia industriale italiana, a cavallo fra Otto e Novecento. Sempre nell’ambito della spedizione di Garibaldi, emerge la storia d’un altro borghese, il giovane Giuseppe Nodari. Nodari a diciotto anni assiste alla battaglia di Solferino, l’anno successivo entra a far parte dei Garibaldini, portandosi appresso gli acquarelli. Riprese così la storia dall’imbarco fino alla presa di Palermo, trasformando tutto ciò vedeva in un ricordo dipinto, una narrazione d’immagini. In un certo senso, Nodari è stato il primo fotografo di guerra che abbiamo conosciuto in Italia. Dopo l’impresa, tornato all’università, diventa ordinario di anatomia a Padova. La vicenda del giovane Antonio Carpenè racconta un’altra storia di genesi di un borghese. Prima di studiare chimica e di entrare in contatto con il biologo Koch, quello del bacillo, e Pasteur, quello dei microbi, e di inventare l’uso della fermentazione per fabbricare il vino con le bollicine, fu infatti anche lui un guerriero garibaldino.

    Altro caso emblematico è quello di Enrico Guastalla, nato povero in canna, da una famiglia ebraica di Modena, che dopo l’esperienza garibaldina giunse persino ad imparentarsi con i Rotschild di Francia. E poi ci sono i pittori, gli scrittori, i poeti, le donne, la tra cui l’inglese Jessie White Mario, che seguendo Garibaldi a Palermo nel 1860, documentò tutto ciò che vedeva, diventando, forse, la prima giornalista donna di guerra.

    Borghesi, intellettuali, artisti e signore emancipate, tutti espressione di una grandissima energia di trasformazione che si sviluppò nel XIX secolo italiano. Una memoria da conservare meglio come incentivo ed esortazione anche per il nostro presente.

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